Nella maggior parte delle cucine teatrali, uno spettacolo si prepara così: prendere un copione, possibilmente ben scritto da uno stimato drammaturgo (non importa se vivente), una sala prove riscaldata, un regista di stagione (teatrale) e attori e attrici q.b. Riscaldare l’ambiente con lunghe e costanti prove a tavolino, finché l’analisi del testo raggiunge la giusta corposità; quindi trasferire il lavoro in piedi, mantenendo in movimento tutte le parti, per evitare che si attacchino troppo presto all’interpretazione sbagliata. Poi prendere voci, parole, movimenti e corpi e trasferirli in teatro, alzando la temperatura: prove costumi con il costumista, montaggio delle scene con scenografo, tecnici e macchinisti, messa a punto dei sapori e delle relazioni tra gli ingredienti, pulitura degli scarti e delle sporcature. Infine, ripetere, ripetere, ripetere fino a raggiungere la perfetta doratura e il giorno del debutto, servire ben caldo.
Ci è capitato di preparare spettacoli così all’inizio, al Teatro dell’Argine, ma sempre meno negli ultimi 20 anni: più spesso il copione non esiste all’inizio delle prove, ma a metà o alla fine, perché è costruito insieme da drammaturgo (vivente), regista e attori. Lo spettacolo tenta di essere uno sguardo sul mondo e sul tempo che ci accade di vivere e quindi spesso nasce dall’interrogare quel mondo, quel tempo e chi lo vive: persone che non sono teatranti di mestiere, ma sanno raccontarti, per esempio, di guerre passate e recenti, di migrazioni emigrazioni e immigrazioni, di famiglie di ogni genere e specie. Poi naturalmente il tutto trasfigura in linguaggio teatrale, ma, ecco, la ricetta è molto diversa.
E cambia ancora quando si vuole non solo raccontare, ma anche costruire e rappresentare insieme, attraverso il teatro, la nostra azione in quel mondo e in quel tempo, che è azione di artisti, ma anche di cittadini, insegnanti, barbieri, fate e mendicanti: un popolo di uomini e donne, grandi e piccoli, italiani gambiani albanesi svizzeri afghani canadesi brasiliani che scopre nel teatro e nelle arti un grimaldello e una passione, un megafono, un gioco e una consolazione.
Allora i cuochi devono arricchire la ricetta di qualche passaggio in più, cambiare i tempi di cottura e amalgamare bene tutti gli ingredienti, in modo tale che la pietanza sia eccellente, se pur diversa da quella a cui siamo stati a lungo abituati.
In questo momento, per esempio, nella cucina/fucina del progetto Futuri Maestri ci sono quattro fornelli accesi contemporaneamente, di cui tre dedicati alla preparazione dello spettacolo omonimo: Alhambra Superchi, maestra del Coro di Voci Bianche del Teatro Comunale, sta insegnando canto corale nelle classi 2A della Scuola Primaria Don Trombelli di San Lazzaro, 4A e 4E della Scuola Primaria Fornace di San Lazzaro e 3C, 3D, 2C e 1D della Scuola Secondaria di Primo Grado Panzacchi di Ozzano dell’Emilia, che poi prenderanno parte al lavoro proprio con dei brani cantati; al contempo, duecento drammaturghi in erba delle classi 3T, 4, 5H, e 3Q del Liceo Righi di Bologna, 4I del Liceo Copernico di Bologna, 4B del Liceo Da Vinci di Casalecchio, 3CSU del Liceo D’Annunzio di Imola, 3B dell’Istituto Majorana di San Lazzaro, 4AL dell’Istituto Mattei di San Lazzaro, sotto la guida di attori e registi del Teatro dell’Argine, stanno analizzando, facendo a pezzi, scrivendo e riscrivendo la prima bozza del copione, che Nicola Bonazzi (drammaturgo e condirettore artistico della compagnia) aveva scritto sulla base delle sue visioni e delle prime interviste fatte ai ragazzi; infine, i 50 special (che poi sono 90) stanno provando ogni settimana con la squadra di registi coordinata da Andrea Paolucci (regista e condirettore artistico) per costruire coreografie, movimenti d’insieme, dialoghi e cori che diventeranno scene e passaggi dello spettacolo di giugno. Sul quarto fornello, i bambini e le bambine della V della Scuola Primaria De Amicis di Bologna stanno lavorando con le educatrici museali del MAMbo per preparare il primo degli eventi speciali di Futuri Maestri, Cinque Parole Cinque Visioni, che il 26 marzo inaugurerà questa speciale rassegna e del quale vi parleremo nel prossimo post.
Insomma, non è questione di essere ingordi o bulimici. Si tratta, piuttosto, di fare un pezzo di strada ciascuno: noi, gli artisti, fuori dalle mura delle nostre cucine; loro, i non-artisti, a sbirciare dentro le nostre pentole e ricette e aggiungervi magari un po’ di pepe.
Così che noi tutti ci si possa fare una bella scorpacciata.